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Martedì 25 marzo, il plesso scolastico del Parco Nord Milano ha ospitato una conferenza significativa, dedicata alla presentazione del libro “Noi, afghane – voci di donne che resistono ai talebani“. L’evento, moderato da Antonella Mariani, giornalista de “L’Avvenire”, ha offerto un’importante opportunità per riflettere sulle esperienze e le sfide affrontate dalle donne afghane in un contesto di grande difficoltà,  a causa delle restrizioni imposte dai talebani.
Durante la conferenza, Antonella Mariani ha invitato una giovane ospite del servizio Sai di Comuni Insieme a condividere la sua personale testimonianza. La sua storia che ha voluto intitolare: “Ali chiuse”, ha toccato profondamente il giovane pubblico, mostrando con forza e coraggio la sua personale resilienza e voglia di diffondere il suo passato e la sua cultura.  Nonostante le avversità, tutte le donne afghane, quelle partite, fuggite e quelle rimaste in patria continuano a lottare per i propri diritti e per un futuro migliore. Per loro la gente locale e le associazioni umanitarie hanno creato delle “scuole segrete” per continuare a garantire il diritto all’istruzione.

L’incontro ha rappresentato non solo un momento di informazione, ma anche un’importante occasione di sensibilizzazione su temi di grande attualità e rilevanza sociale. Le parole della giovane ospite Saeeda hanno risuonato come un potente richiamo alla solidarietà e all’impegno collettivo per la difesa dei diritti umani.
La conferenza si è conclusa con un dibattito vivace, in cui i partecipanti hanno potuto esprimere le proprie riflessioni e domande, dimostrando un forte interesse per la situazione delle donne in Afghanistan e per le modalità di supporto che possono essere messe in atto.

Di seguito uno stralcio della sua testimonianza

Sono Saeeda, sono nata in Afghanistan. Per me non era solo un paese; era diventato una poesia incompiuta. Un luogo la cui storia risale a migliaia di anni fa, dai Buddha di Bamiyan alle iscrizioni rupestri di Ghor […] Sono cresciuta a Kabul: una città con i suoi piccoli caffè, le librerie antiche. Per me Kabul rappresentava un’identità. Ancora oggi quando chiudo gli occhi, mi torna in mente l’immagine dei suoi vicoli e l’odore della pioggia sulla terra […] Qualche anno fa sono venuta in italia ed è iniziata una nuova vita, anche carica di paure e di nostalgia. Non conoscevo la lingua, la cultura era così diversa. Qui però ho iniziato ad esprimere le mie emozioni e così ho deciso di essere “una voce” per coloro le cui voci non vengono più ascoltate. Quando vedo le ragazze della mia età, studiare liberamente, mi si spezza il cuore per le ragazze di Kabul che ora invece, non lo potranno più fare”